Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 27 giugno 2011, n. 25668. E’ omissione di soccorso anche se l’automobilista che ha causato il sinistro si accerta sommariamente delle condizioni fisiche della parte lesa, ma si allontana minimizzando senza dare aiuto e senza nemmeno fornire i propri dati. Il reato di cui al combinato disposto dell’articolo 189 C.d.S., commi 1 e 7, che punisce la violazione dell’obbligo di fermarsi e di “prestare assistenza alle persone ferite” da parte dell’utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone comunque ricollegabile al suo comportamento, e’ punibile a titolo di dolo. Per la punibilita’ e’ cioe’ necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente, oltre l’evento dell’incidente, il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuto e voluto dall’agente. A tal fine e’ pero’ sufficiente anche il dolo eventuale che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che puo’ attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per cio’ stesso l’esistenza: cio’ significa che rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, e’ sufficiente (ma pur sempre necessario) che, per le modalita’ di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, per l’agente si rappresenti la probabilita’ – o anche la semplice possibilita’ – che dall’incidente sia derivato un “danno alle persone” e che queste “necessitino di assistenza” e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 34134, 13.7.2007, Rv. 237239). Sussiste, pertanto, il dolo eventuale se l’investitore, dopo aver avvicanto il danneggiato e chiesto come stava, si è allontanato – nonostante quest’ultimo gli avesse risposto che gli faceva male una spalla – senza dare aiuto e senza nemmeno fornire i propri dati. Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 27 giugno 2011, n. 25668