Una risoluzione che non accontenta né gli ambientalisti né il mercato delle autovetture, questo sembra essere la decisioni dei Ministri dell’Ambiente dei paesi dell’Unione Europea, che il 9 ottobre hanno trovato un accordo per tagliare il diossido di carbonio prodotto dai veicoli del 35% entro il 2030. Le case automobilistiche non in regola con gli obiettivi intermedi di riduzione del 20% entro il 2025 e con quelli finali pagheranno una multa all’UE, i cui introiti saranno poi usati per finanziare i programmi di riqualificazione professionale per i lavori del settore automobilistico in transizione.
Per gli ambientalisti si dovrebbe fare di più, mentre i rappresentanti delle case di produzione automobilistiche lanciano l’allarme: già la prima proposta del Parlamento di Strasburgo di calare le emissioni entro il 2025 e del 40% entro il 2030, le prime reazioni di preoccupazione non si erano fatte attendere, oggi i produttori di autoveicoli e le associazioni legate al mercato automobilistico si sono espressi con ancora maggior forza.
Se da un lato in Italia si guarda dubbiosi agli ingenti investimenti in cui si dovrebbe tradurre la proposta ancora più ambiziosa fatta dal Ministro per l’Ambiente Sergio Costa, cioè di tagliare in Italia le emissioni delle auto e dei furgoni del 40% entro il 2030, poiché implicherebbe una quantità di denaro e un’attenzione all’innovazione del settore maggiori mediamente di 10 volte rispetto quelle degli ultimi 8 anni, la Germania lancia anche un altro allarme: una simile manovra potrebbe avere un impatto fortemente negativo sui posti di lavoro.
Un allarme che sembra condiviso anche dalle associazioni di categoria nostrane: <<Il voto di oggi rischia di avere un impatto molto negativo sui posti di lavoro nella catena di produzione dell’auto e forzerebbe essenzialmente l’industria a una trasformazione sostanziale a tempi record.>> è stato il commento a caldo del segretario di ACEA Erik Jonnaert, seguito da una generale richiesta da parte degli eurodeputati di ottenere strumenti di finanziamento più forti per contrastare le possibili perdite di posti di lavoro.
L’ACEA, attraverso Erik Jonnaert «fa appello alle tre istituzioni europee affinché lavorino per un accordo finale che definisca il giusto equilibrio di protezione dell’ambiente e di salvaguardia della base manifatturiera europea e, nello stesso tempo, assicuri una mobilità conveniente e gestibile per tutti i cittadini»
I reali effetti della manovra sul mercato del lavoro non sono tuttavia ancora ben chiari: Miriam Dalli, relatrice del provvedimento, ricorda che <<la valutazione d’impatto della Commissione afferma che un obiettivo del 40% creerà 69 mila posti di lavoro nel caso in cui dobbiamo ancora importare batterie e 92 mila se le batterie saranno prodotte nell’UE>>.
<<L’obiettivo è quello di creare un’industria europea delle batterie, che oggi importiamo quasi solo dalla Cina.>> spiega Damiano Zoffoli, PD, del gruppo Socialisti e democratici.
Allo stesso tempo però, la relatrice del provvedimento riconosce che <<circa 12 mila posti di lavoro nel settore automobilistico in tutta l’Ue potrebbero essere persi con l’obiettivo del 40% in un periodo di 12 anni a causa del fatto che specifici fornitori di parti non saranno più necessari>>.
Sui numeri reali dei posti di lavoro a rischio non c’è in realtà alcuna certezza, visto che Herbert Diess, CEO del Gruppo Volkswagen, denuncia che un programma di riduzione delle emissioni troppo severo e troppo penalizzante per l’industria automobilistica metterebbe a rischio in dieci anni un quarto dei posti di lavoro solo della Volkswagen, cioè 100 mila occupati in meno: in un’intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung, Diess aveva già messo in guardia <<Il nostro settore produttivo si potrebbe bloccare molto più velocemente di quanto si può credere>> ed aveva precisato che <<la velocità e l’impatto della trasformazione (nei sistemi di propulsione delle auto) sono difficili da gestire.>>
Per questo la relazione chiede anche che l’UE dovrebbe promuovere lo sviluppo delle competenze e la ridistribuzione dei lavoratori del settore, in particolare nelle regioni e nelle comunità più colpite dalla transizione, attraverso strumenti di finanziamento dell’Unione più forti, nonché investire nello sviluppo e nella ricerca di nuove tecnologie che stiano al passo con l’evoluzione ecologica della produzione in tutte le branche del settore. Il rischio, altrimenti, come ha indicato sempre Diess al Süddeutsche Zeitung, è che gli obiettivi prefissati dalla Commissione Europea incontrino più di una criticità: <<La verità è che non si passerà all’elettricità ma al carbone>> ha detto riferendosi agli studi che indicano in 5 tonnellate di CO2 l’impatto della produzione di una batteria con energia non green <<e si va ancora a carbone, l’e-mobility è davvero una follia.>>
Insomma, se da un lato sembra necessario migliorare le prestazioni dei veicoli in termini di emissioni inquinanti, dall’altro la proposta di riforma sembra quasi distaccata della realtà, e non tenere conto dello sviluppo reale delle tecnologie di produzione. Stavolta non è però solo l’Italia, a non essere pronta a mantenere gli obiettivi: anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che la Germania impiegherà ancora molti anni, ad abbracciare completamente le nuove tecnologie per automobili che coniughino l’ideologia ecologica ad alte prestazioni.