In Italia, il margine lordo medio delle concessionarie ufficiali di auto è di 20,8 euro per ogni vettura venduta, su un valore unitario medio di 19mila euro fatturati al cliente. E le prospettive sono di ridimensionamento, alla luce della crisi e degli inasprimenti fiscali che negli ultimi mesi hanno colpito anche l’auto. l dato emerge dallo strumento analitico di ItaliaBilanci, che ha classificato i rendiconti contabili ufficiali di 2.170 concessionarie del 2009, ultimo anno disponibile per intero. Grazie a un mercato florido, abbondantemente sopra i due milioni di vendite (2,5 milioni il picco, nel 2007), i concessionari nel periodo 2005-2009 hanno chiuso in sostanziale pareggio, ma con trend in discesa. Tanto che nel 2009 c’è stata una perdita netta media di circa 60mila euro, secondo ItaliaBilanci.
Per gli anni successivi, dalle prime risultanze 2010, il calo di mercato del 9% sul 2009 avrebbe determinato un deterioramento dei parametri economico/finanziari dell’impresa concessionaria. Si stima pertanto una perdita media della rete di distribuzione tra gli 80 e i 90mila euro. Oltre un’azienda su due avrebbe chiuso il bilancio in perdita, anche perché non sono state poche quelle che sull’onda dei record di vendite avevano effettuato investimenti. Per il 2011 le previsioni, anche se molto grezze, sono ancor meno buone: la sostenibilità del business è messa a dura prova da un mercato che faticherà a chiudere con 1,8 milioni e causerà inevitabilmente una selezione tra gli operatori, le cui capacità finanziarie sono state indebolite dalle difficoltà del 2008-2010. Secondo Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione dei concessionari ufficiali di tutti i marchi commercializzati in Italia, attualmente metà dei concessionari chiude i conti in pareggio, un quarto perde intorno al 3% e forse anche più e l’altro quarto guadagna tra l’1 e il 3% lordo. In altre parole, almeno tre quarti della rete perde dopo aver pagato le tasse. Molto chiaro e diretto il commento del Centro studi Promotor Gl events, che attribuisce il calo di luglio alla manovra di inizio estate, che ha aumentato ancora una volta le accise e ha introdotto i superbolli finendo per danneggiare una domanda già pesantemente colpita dalla debolezza dell’economia reale e dalle preoccupazioni relative al quadro finanziario italiano e internazionale.