Il Gruppo Volkswagen prova a spiegare le differenze tra i “defeat device” dei 4 cilindri diesel della famiglia EA189 (quelli all’origine del dieselgate fatto scoppiare dall’Epa americana) e quelli dei V6 TDI per i quali il colosso di Wolfsburg continua a negare la presenza del software nonostante l’allarme lanciato recentemente dalla stessa Epa. La Casa tedesca sostiene che le differenze sono sostanziali. Se il “defeat device” dei 4 cilindri è stato effettivamente progettato allo scopo di aggirare i controlli durante i test reali, quello dei V6 TDI è da definire, secondo VW, “auxiliary emission control device” che non altera i livelli delle emissioni, ma fa in modo che (dopo un avviamento a freddo) il catalizzatore raggiunga la temperatura di funzionamento il più rapidamente possibile, riducendo i livelli degli inquinanti. Questo secondo device sarebbe presente non soltanto sui 3.0, ma anche sul 2.0 di alcuni model year 2016. In sostanza, il Gruppo vorrebbe continuare ad utilizzare l’Aecd nella distribuzione americana. Nel frattempo, dopo l’ammissione della stessa Volkswagen sul fatto che si è aperto anche il fronte ribattezzato emissiongate, la procura di Braunschweig sta valutando l’apertura di una nuova indagine sulle emissioni di CO2 irregolari che coinvolgono circa 800 mila vetture, quasi 100 mila delle quali a benzina. Secondo la Sueddeutsche Zeitung, gli 800 mila veicoli incriminati emetterebbero una quantità di CO2 superiore del 18% a quella ufficiale.